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IL BOTTEGHINO sas

Teatro Mercadante

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STAGIONE TEATRALE 2025/26 TEATRO MERCADANTE

DAL 2 AL 7 DICEMBRE 2025  TEATRO MERCADANTE SALA RIDOTTO
RUMORE DI FONDO
drammaturgia di Benedetta Palmieri

Rumore di Fondo nasce da un’ispirazione che ruota intorno alla vita di Carmine Ammirati, un ragazzo orfano di femminicidio, e dall’incontro artistico tra le visioni musicali di Ivo Parlati e il mondo creativo di Nadia Baldi. Un concerto elogio alla speranza, un racconto di orfani speciali, ORFANI DI FEMMINICIDIO. Bambini deprivati dell’amore primordiale. La musica è pensata come un racconto evocativo di risonanze emotive che attraversano il “nonme”, una realtà non reale che cammina verso quel flebile confine chiamato speranza. La speranza, quella spinta vitale tipica dei bambini che, scacciando quel drammatico “rumore di fondo”, sfocia in un antidoto vivace di dolce rinascita. In scena Carmine Ammirati figlio di una madre, una donna uccisa dopo dodici denunce. Questo non può chiamarsi femminicidio questo deve chiamarsi OMICIDIO DI STATO.

DAL 10 DICEMBRE AL 6 GENNAIO 2026

NON POSSO NARRARE LA MIA VITA
drammaturgia e regia Roberto Andò

A quasi due anni dalla scomparsa di Enzo Moscato, Roberto Andò gli rende omaggio con un lavoro che intreccia alcuni dei suoi testi più rappresentativi con Gli anni piccoli, “un tentativo volutamente frammentario, sinuoso ed elusivo, d’autobiografia adolescenziale e allo stesso tempo esercizio critico, d’astrazione e di meditazione, strenuo e appassionato sulla scrittura”. Filosofo, poeta, drammaturgo, regista, attore, Enzo Moscato, insieme ad Annibale Ruccello e Manlio Santanelli, è stato esponente di spicco di quella che negli anni Ottanta è stata definita la nuova drammaturgia napoletana. In più di quarant’anni d’attività, nei suoi lavori ha combinato la tradizione drammaturgica napoletana con il pensiero di autori e teorici del Novecento, come Artaud, Genet, Lacan, Pasolini. La sua inconfondibile scrittura – spesso un musicale e disinvolto miscuglio di dialetto napoletano, italiano, francese, spagnolo, inglese, tedesco, greco, latino – è stata capace di farsi materia e scena, di scavare profondamente nelle viscere e nell’animo umano, di farsi espressione della fragilità concreta e metaforica del corpo di Napoli.

«Non posso narrare la mia vita», afferma Enzo Moscato in quel frammento autobiografico che è Gli anni piccoli, un’opera rivolta a rintracciare le tracce dell’insorgere della sua vocazione teatrale nell’infanzia e adolescenza trascorse nei Quartieri Spagnoli. Si tratta di agglutinazioni visionarie, sprazzi di vita rivissuti con l’occhio e l’orecchio dello sciamano: buchi, faglie, crepe di una memoria a brandelli e solo successivamente ricucita. Un diario d’autore che disprezzava le imposizioni della realtà, preferendo a quest’ultima la vita fantasticata, la musica della reverie. Da questo piccolo libro Roberto Andò è partito per immaginare uno spettacolo intorno al mondo di Enzo Moscato, scivolando delicatamente nella penombra della mente di un poeta che sta a Napoli come Kavafis sta ad Alessandria. Come scrisse Anna Maria Ortese a proposito di Elsa Morante, anche Enzo Moscato ha fatto un giuramento all’Invisibile. E questo, più che un semplice spettacolo, rischia di diventare un appuntamento postumo con la sua voce indimenticabile.

DAL 14 AL 18 GENNAIO 2026

IL LUTTO SI ADDICE AD ELETTRA
di Eugene O’Neill, regia Davide Livermore

Un affascinante e inquietante viaggio tra mito archetipico e moderna psicoanalisi, tra dramma borghese e tragedia classica.
Scritto da Eugene O’Neill nel 1931, questo capolavoro della drammaturgia del Novecento torna in scena con l’immaginifica regia di Davide Livermore.
Forte degli attraversamenti critici della tragedia classica compiuti con Elena e Orestea, dopo avere indagato i meandri della psiche umana contemporanea con Grounded di George Brant e Il viaggio di Victor di Nicolas Bedos, Davide Livermore affronta per la prima volta l’opera di Eugene O’Neill.
In uno spazio scenico decisamente suggestivo, che è specchio distorto della mente umana, lo spettacolo fa emergere tutte le tensioni e le contraddizioni di personaggi-mito, incarnazioni tragiche che riverberano inquietudini eterne.
Il lavoro sembra essere dunque ideale compimento dei due filoni di ricerca, coniugando sapientemente mito classico e psicanalisi novecentesca. Lo spettacolo è anche un sincero omaggio al celebre allestimento del Teatro Stabile di Genova diretto da Luca Ronconi nel 1997, in cui Elisabetta Pozzi interpretava il ruolo di Lavinia, corrispettivo di Elettra nell’Oresta di Eschilo, da cui il lavoro di O’Neill prende le mosse.
In un emozionante ponte temporale, oggi Livermore affida alla grande attrice genovese il ruolo di Christine Mannon (ovvero Clitennestra). A interpretare invece il ruolo di Ezra Mannon / Agamennone troviamo Tommaso Ragno, attore capace di passare con maestria dal teatro al cinema alla televisione. Linda Gennari, che negli ultimi anni si è distinta in diversi spettacoli prodotti dal Teatro di Genova (Premio ANCT come migliore attrice per Grounded) è Lavinia mentre ad Aldo Ottobrino, apprezzato attore di scuola genovese, spetta il ruolo dell’amante di Christine.

DAL 21 GENNAIO AL 1 FEBBRAIO 2026

IL GABBIANO
di Anton Čechov, regia Filippo Dini

Nel bosco, un episodio reale vissuto da Čechov – l’uccisione di una beccaccia ferita da Levitan – sembra anticipare simbolicamente un momento centrale de Il gabbiano, dove Kostja uccide l’uccello che dà il titolo all’opera. Questo gesto diventa emblema della violenza silenziosa con cui i sogni e gli ideali vengono infranti. La commedia racconta, attraverso l’intreccio di relazioni tra dieci personaggi riuniti in una casa sul lago, il dramma dell’ambizione e dell’amore destinati a fallire. Il giovane Kostja, aspirante scrittore, cerca nel teatro e nell’amore per Nina una via di riscatto dal grigiore dell’esistenza. Ma il suo spettacolo fallisce, Nina lo abbandona per Trigorin, e lui stesso finisce per togliersi la vita.
Nel quarto atto, ambientato due anni dopo, tutti i personaggi appaiono segnati dal disincanto e dalla sconfitta. Čechov tratteggia una società sull’orlo della fine, una miniatura dell’umanità in cui nessuno riesce a realizzare le proprie aspirazioni. Ogni amore è non corrisposto, ogni slancio idealistico si spegne contro la realtà.
Filippo Dini nelle sue note spiega che: – “L’immortalità di questo testo e la sua bruciante contemporaneità sta proprio nella descrizione di una “umanità alla fine”, una società sull’orlo del baratro, che avverte l’arrivo di un’apocalisse, che di lì a poco spazzerà via tutto il mondo per come lo abbiamo conosciuto fino a quel momento, di lì a vent’anni, infatti, ci sarà la Rivoluzione, e anch’essa sarà causa o effetto (a seconda dei casi) di tante rivoluzioni in Europa. Tutta la drammaturgia di Čechov racconta una fine imminente, i suoi personaggi sono un popolo di ombre che tentano di resistere con tutte le loro forze alla malinconia, alla tristezza, al rammollimento cerebrale, lottano, si scontrano, si sparano, tra di loro e a se stessi, cercando di non soccombere. Le somiglianze con la nostra epoca sono straordinarie e sconfortanti, come se il nostro Anton ci guardasse da lontano con quel sorriso e quell’ironia che gli sono certamente congeniali, nell’attesa che anche la nostra società, il nostro mondo, il nostro folle modo di condurre le nostre esistenze, arrivi all’esplosione, proprio come la boccetta di etere del dottor Dorn”.

DAL 13 AL 15 FEBBRAIO 2026
I POETI NON CADONO IN PIEDI
drammaturgia e regia di Franco Maresco e Claudia Uzzo, dai testi di Franco Scaldati

umano prossimo venturo? Con lucida e disincantata ironia, caratteristiche riconosciute della sua biografia artistica e intellettuale, Franco Maresco si interroga su questo “gnommero” epocale, raccontando a modo suo l’affinità profonda che lo lega alla figura di Franco Scaldati, drammaturgo e poeta palermitano, potente sperimentatore di una lingua nuova del teatro siciliano, che in vita pagò il prezzo di una coerenza artistica ed esistenziale rimanendo ai margini del mercato e delle istituzioni. In questo spettacolo aperto, una grottesca sonata di fantasmi contrappuntata da immagini e parole (molte delle quali inedite) del corpus scaldatiano, Maresco colloquierà con i personaggi e con l’idea del teatro e del mondo del suo amico poeta che non voleva “cadere in piedi”, allacciandosi alla misconosciuta tradizione dei grandi irregolari della letteratura, in primo luogo della letteratura siciliana, giocatori perdenti nella partita col tempo e contro il proprio tempo.    

DAL 18 FEBBRAIO AL 1 MARZO 2026
RICCARDO III
di William Shakespeare, regia Antonio Latella

Antonio Latella porta in scena Riccardo III, tragedia sull’ascesa al potere del duca di Gloucester ed esplorazione della natura del male. Nelle sue note di regia, Latella afferma: “Il male è. Non è una forma, una gobba, una deformità. È vita, natura, divinità”. Il suo intento è superare l’esteriorità del male per coglierne il fascino. La rappresentazione fisica della malvagità diventa quasi un alibi che oggi, nel XXI secolo, è forse non più accettabile. Ma Shakespeare usò una “maschera corporea”, simile a quella di un fool, figura ambigua e simbolica, per precise ragioni storiche e concettuali.
In alcuni Paesi, l’opera viene rimossa dai cartelloni per rispetto verso la disabilità fisica. Il rischio, secondo Latella, è che il politically correct porti a una censura che snatura l’opera. Al centro del lavoro vi è il potere della parola, la sua seduzione, persino la sua scorrettezza: “Il serpente incantò Eva con le parole”, ricorda il regista, sottolineando che il male risiede nella bellezza e nell’armonia, non nella disarmonia. Riccardo III incarna il male seduttivo, dominatore, soprattutto verso il femminile, che alla fine sarà proprio ciò che lo sconfigge.
La traduzione di Federico Bellini offre un ritmo iniziale quasi da commedia wildiana. L’adattamento rispetta l’anima dell’opera, pur con alcune modifiche. Una novità è il personaggio del Custode, servitore apparente di Riccardo e del male, ma in realtà difensore della bellezza e del giardino dell’Eden.
Fondamentale è stata anche la scelta del cast, selezionato con cura maniacale per valorizzare la forza performativa della parola shakespeariana. Latella conclude chiedendo ai suoi collaboratori di rendere il male seduttivo, perché “chi tradì il paradiso fu l’angelo più bello”.

DAL 4 AL 15 MARZO 2026
I TURNI 
scritto e diretto da Cristina Comencini

I turni, raffinata e dolcemara commedia scritta e diretta da Cristina Comencini, nota regista italiana e autrice di film come “La bestia nel cuore”, “Latin Lover” e “Il più bel giorno della mia vita”andrà in scena a marzo al Teatro Mercadante.
Chi ha deciso il ruolo che abbiamo in ogni famiglia?
Se lo chiedono due sorelle che si ritrovano la domenica a coprire i turni per accudire la madre malata. Le due donne sono diametralmente opposte: hanno scelto percorsi e stili di vita diversi. Tutte queste scelte le hanno però condotto entrambe a dividersi i turni della domenica, mentre il fratello non partecipa: di fatto il ruolo che ricoprono nella famiglia è stato assegnato dalla società. Così decidono di ribellarsi e, quando il fratello passa a trovare la madre, lo chiudono in casa e ribaltano i ruoli e tornano con la fantasia ed il gioco, alla tenerezza ed all’indefinitezza dei tre bambini che erano, quando si amavano e tutto sembrava possibile per ognuno di loro.

DAL 18 AL 29 MARZO 2026
IL BERRETTO A SONAGLI
di Luigi Pirandello, regia Andrea Baracco

Pirandello non è autore per tempi di pace, ma di guerra. È il tempo di guerra a creare le condizioni effettuali per comprendere l’autore siciliano; il dissolversi del principio di identità, la tragica disintegrazione dell’io, il gioco di specchi intorno alle molteplici individualità dell’essere umano. In tempi di guerra se la realtà chiama, Pirandello sa cosa rispondere; intravede la feroce e grottesca maschera di un mondo convulso e impazzito. I tempi di pace sono i tempi degli ismi, della ricerca affannosa di una filosofia e allora sotto con “essere è apparire” o “conflitto tra vita e forma” con il pirandellismo insomma; quell’insopportabile pozzo del pensiero che sembra mettere in pausa il teatro, la concretezza degli accadimenti per passare altrove, in un generico luogo, astratto. Inchiodare in una formula un autore è sempre molto pericoloso, con Pirandello è quasi mortale. Sentire il bisogno di chiarire più che di capire ha chiuso l’autore dentro una formula lucida e perentoria, non permettendo ai suoi personaggi di far esplodere quello che hanno di più potente, le passioni. Solo liberandolo dalle preoccupazioni filosofiche, Pirandello mostra il suo volto autentico. Si vede solo allora come i grandi protagonisti della drammaturgia pirandelliana siano uomini costretti a frugarsi dentro e non lucidi pensatori al dettaglio. Proprio per questo, credo necessario lasciarsi guidare dalle parole di Leonardo Sciascia: “Bisogna liberare Pirandello da tutte le incrostazioni filosofiche e pseudofilosofiche, da tutte le etichette concettuali, in una parola del pirandellismo. Restituire all’opera pirandelliana quella verità e libertà, quella effervescenza fantastica, che oggettivamente possiede”.
Cinque anni dopo aver scritto la novella La Verità, Pirandello la trasforma nei due atti de Il berretto a sonagli, la cui versione siciliana confezionata per Angelo Musco debutta nel 1917 al Teatro Nazionale di Roma.
In una delle lettere indirizzate a Musco che metteva in dubbio le qualità della commedia e del suo protagonista, Ciampa, Pirandello dice di come questo sia un personaggio “strapieno di tragica umanità, non vivo ma arcivivo” e parla del testo in questione come di un’opera “nata e non fatta”; sottolineando con forza di come qualora negli interpreti mancasse l’anima si ritroverebbero in bocca “l’imbroglio di discorsi lunghi, incisi, da portare alla fine senza sapere come! Bisogna leggere non le parole ma l’azione parlata, perché è sempre tale il mio dialogo, non fatto mai di parole, ma di mosse d’anima”. Ecco, è lo stesso Pirandello che si smarca con fermezza dal pirandellismo, da quel ragionatore impenitente, che sembra sempre avere il pensiero troppo saldo e talmente ragionato da non poter mai porsi nel luogo della contraddizione, dell’imprevisto, dell’umano insomma.
L’umiltà dell’uomo Ciampa giganteggia, il ridicolo lo infanga; è come se una lama inesorabile gli spaccasse sempre più profondamente il petto, per mostrare il suo cuore e allora si difende con parole vive e umanamente strazianti. Comincia il suo percorso con una semplicità che gli consente di avere aspetti comici, di una comicità ironica con cui si prende ferocemente gioco dell’ottusità degli altri, per poi precipitare, nella sua umiliazione da vinto, in una sorta di esaltazione lirica che fa transitare continuamente lo spettatore dal riso all’angoscia.

DALL' 8 AL 12 APRILE 2025
IL MISANTROPO
di Molière, regia Andrée Ruth Shammah

Andrée Shammah torna a Molière con Il misantropo, “una storia d’amore, un amore-possesso, una nevrosi. Un tema moderno come non mai.” Un’edizione fresca dell’opera, un lavoro a sei mani tra Andrée Ruth Shammah, Luca Micheletti e Valerio Magrelli, incentrato sull’elogio semantico della parola e della sua musicalità. Protagonista è Fausto Cabra: un Alceste, qui in costume, scuro, al centro di un mondo popolato da personaggi vestiti nella stessa foggia ma in colori pastello diversi tra loro, a simboleggiare una società variegata nella forma ma omologata nella sostanza. Accanto a lui una straordinaria compagnia. In scena c’è la “disperata vitalità” di un uomo solo davanti al potere, solo davanti ai benpensanti. L’uomo folle che è deriso dalla società, ma in realtà è l’unico capace di cogliere la follia di chi lo circonda. Vorrebbe isolarsi nei suoi ideali ma la sua amata non è disposta a seguirlo. È la commedia dell’impossibilità di esprimersi liberamente quando si è preda delle passioni. Un dramma comico e umanissimo, commovente e feroce, sull’incomunicabilità e sul corto circuito terribile e risibile che genera.

16/17 APRILE 2025

MEDEA'S CHILDREN

ideazione e regia Milo Rau

I figli di Medea, la nuova creazione del regista Milo Rau, è una storia del teatro in miniatura, dove i bambini trovano la propria voce e riflettono sulla separazione, l’ingiustizia e il potere della tragedia. Con questo spettacolo, l’artista Milo Rau offre uno sguardo nuovo e profondo sul ruolo dei bambini a teatro. Il punto di partenza è un vero caso criminale: il caso di una madre che, in preda alla disperazione, decide di uccidere i figli e di togliersi la vita, ma sopravvive. Questa tragedia moderna si intreccia con la tragedia classica “Medea” , il caso più tristemente noto di conflitto relazionale e infanticidio nella letteratura occidentale. Un gruppo di bambini coglie questo sanguinoso caso criminale e la narrazione delle origini forse più oscura della cultura europea come un’opportunità per riflettere su se stessi: sulla storia familiare, il primo amore e i primi incontri con la morte, sui desideri per il futuro e le paure della fine del mondo che ci perseguita tutti. Come affronta un bambino il divorzio dei genitori? L’ingiustizia, la rottura delle amicizie, la pressione a scuola? Come affronta il potere radicale di Medea – la tragedia in generale? I bambini, condannati al silenzio nelle tragedie classiche, questa volta hanno finalmente voce in capitolo. I figli di Medea: le tragedie assurde e sanguinose della vita adulta viste attraverso gli occhi

dei bambini – una piccola storia del teatro e una scuola di vita tanto crudele quanto poetica.

8 MAGGIO 2026
LA DUSE
di Adriano Bolognino e Rosaria Di Maro

Un vibrante omaggio alla genialità della Divina e alla creatività femminile: nella nuova coreografia di Adriano Bolognino e Rosaria Di Maro, lo spirito di Eleonora Duse danza ancora. Nessuna Opera, Eleonora Duse: «Recitare ? Che brutta parola! Se si trattasse di recitare soltanto; io sento che non ho mai saputo né saprò recitare! Quelle povere donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e testa, che mentre io m’ingegno di farle capire alla meglio a quelli che mi ascoltano, quasi volessi confortarle… sono esse che, adagio adagio, hanno finito per confortare me! Come – e perché, e da quando – mi sia successo questo “ricambio” affettuoso, inesplicabile e innegabile tra quelle donne e me… sarebbe troppo lungo e anche difficile – per esattezza – a raccontare. Il fatto sta che, mentre tutti diffidano delle donne io me la intendo benissimo con loro! Io non guardo se hanno mentito, se hanno tradito; se hanno peccato, se nacquero perverse, purché io senta che esse hanno pianto, hanno sofferto o per mentire o per tradire o per amare… io mi metto con loro e le frugo non per mania di sofferenza ma perché il compianto femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo di quello che ne accordano gli uomini!». «Il lavoro si divide in due, e la divisione segue la marcia della Duse verso un’arte sempre più consapevole. Una prima parte “squisitamente artefatta” e un’ultima Duse, ormai anziana, “tutta luce immacolata”. È una NON OPERA, un inno alle donne. Un ringraziamento doveroso al testo di Mirella Schino, Eleonora Duse – Storie e immagini di una rivoluzione teatrale, per aver raccontato questa straordinaria donna, trascendendo le influenze maschili che hanno confuso le sue tracce e liberandola dai cliché che oscurano il genio femminile. È stato il punto di partenza indiscusso di tutta la ricerca.»

16/17 MAGGIO 2026

FULL MOON

coreografia Josef Nadj

Full Moon riunisce sette degli otto danzatori di Omma per proseguire, ampliare e approfondire l’esplorazione iniziata con quello spettacolo. E Josef Nadj, danzatore e coreografo ungherese, ha scelto di unirsi a loro sul palco. La luna del titolo si riferisce al cosmo, alla formazione dell’universo, al processo che precede e anticipa la comparsa della vita: associata al rinnovamento e alla trasformazione, con il suo ciclo di 28 giorni e le sue quattro fasi, dona alla coreografia una sorta di struttura ritmica, una griglia compositiva. Ma in questa creazione, la ricerca di Nadj si combina anche con un altro percorso, con un altro territorio, il mondo del jazz afroamericano, dalle sue forme originali – blues e spiritual – e dalle sue mutazioni, fino ai giorni nostri: un genere musicale di cui i bianchi si sono appropriati e la cui componente danzante è quasi completamente scomparsa. Il suo obiettivo era quello di introdurre i danzatori a questa musica, o meglio a queste musiche, che erano loro estranee, sebbene in un certo senso affondassero le loro radici nel continente africano.
Insieme ai danzatori, si è impegnato ad analizzare le forme specifiche di queste musiche, a estrarne lo spirito e il pensiero, e a cercare una danza che corrispondesse a esse. Nata da questa “opera affascinante”, Full Moon rende omaggio implicito ad alcuni eminenti rappresentanti di questo movimento: Charles Mingus, Cecil Taylor, Anthony Braxton e l’Art Ensemble di Chicago.
Ma Full Moon fa appello anche a un’altra figura, quella della marionetta, che, come la maschera, attraversa tutta l’opera di Josef Nadj. Questa figura, infatti, è ricomparsa nel processo creativo di quest’opera. Il motivo per cui essa e la maschera ritornano qui è che entrambe sono molto presenti nelle culture africane, ma non solo. Concepita come il punto di congiunzione o di svolta tra l’inerte e il vivente, l’animato e l’inanimato, essa possiede un’altra dimensione, un altro significato rispetto al corpo “vivente”, al quale fornisce una sorta di contrappunto. In questo senso, la presenza della marionetta, dell'”uomo burattinaio” accanto al vivente, rappresenta per lui il fatto che una creazione non è mai perfetta e che impone la necessità di accettare il gioco, anche nella sua imperfezione.

STAGIONE TEATRALE 2025/26 SALA RIDOTTO MERCADANTE

DAL 16 AL 21DICEMBRE 2025
ORFANI VELENI
di Enzo Moscato, ideazione e regia Davide Cristiano

Orfani veleni è il progetto vincitore della prima edizione del Premio Enzo Moscato per artisti e compagnie under 35. Spiega Davide Cristiano che lo ha ideato: “Se l’uomo che dorme in strada fosse l’ultimo baluardo di una comunità in estinzione? Se chi è considerato un relitto fosse in fondo il solo capace di raccontarci del naufragio? Un vecchio attore di teatro, ridotto ai margini del nostro sguardo, è l’unico rimasto ad abitare la piazza, il luogo di una collettività in disfacimento. Solo una figura angelica, un Pulcinella serafico, può intervenire in suo soccorso quando tre ragazzi si abbattono su di lui come avvoltoi su un corpo in agonia: sono l’incarnazione di quegli stereotipi che hanno declassato la cultura popolare ad oleografica fino ad annichilirla. Su tutti loro aleggia fuori dallo spazio e dal tempo la lucida voce del poeta. Questo è lo scenario in cui il testo di Enzo Moscato, Orfani Veleni, viene precipitato per dare corpo all’indagine poetica e metafisica che il compianto autore compone in un esercizio definito di de-mascherazione. Nell’opera si articola per la città di N. e la sua comunità una domanda di sopravvivenza, resistenza, o meglio ancora, di nascita: quasi una forma di rituale magico, di esorcismo – ha scritto Moscato. Un necessario urlo di vita di fronte all’inarrestabile devastazione di cose e sentimenti di questa città. Una città che per il poeta napoletano ingloba l’universo intero”.

DAL 15 AL 25 GENNAIO 2026
ZUCCHERO AMARO
di Fortunato Calvino

La casa è per Gina, protagonista del testo Zucchero amaro, il luogo dove trova rifugio nei momenti tristi. Quelle mura l’abbracciano quando è arrabbiata, sconfitta da una vita esterna che a volte bussa violentemente alla sua porta. E’ il suo passato, fatto di ricordi, si materializza sulle pareti di casa sua con oggetti di luoghi lontani. Non potrebbe vivere altrove, la sua storia è tutta lì. Su una parete della camera da letto cela, oltre una tenda di velluto, un altarino con decine di foto dei suoi famigliari defunti, a cui dedica la sera le sue preghiere quotidiane. In questa vita quieta irrompe Laura, la sorella dal carattere vitale e desiderosa di amore, amore però trova solo nei suoi sogni più che nella realtà. In questo suo mondo un giorno bussa un esterno violento incarnato in tre donne malavitose, che proprio sulle mura di Gina puntano i loro sguardi famelici: Filomena, Rosetta e Nina, come belve, vogliono strappare a Gina la sua dimora sacra, conquistata con anni di sacrifici.

DAL 27 GENNAIO AL 1 FEBBRAIO 2026
SCENDE GIU' PER TOLEDO
di Giuseppe Patroni Griffi, regia Arturo Cirillo

Dalle note di regia di Arturo Cirillo – “Scende giù per Toledo” è un romanzo breve, lo lessi per la prima volta molti anni fa, come un piccolo cult della letteratura napoletana, e da allora è rimasto nella mia memoria.
Scende giù per Toledo è una travolgente invenzione letterarie, scritta da Giuseppe Patroni Griffi nel 1975, la storia di un travestito napoletano, emblema della stravaganza e fragilità di una città e dei suoi mutanti abitanti. “Scende giù per Toledo e va di fretta Rosalinda Sprint, è in ritardo col sarto e deve andare da Marlene Dietrich. Fra mezz’ora e quella non aspetta. Colpa della Camomilla Schulz….” Così inizia la storia di Rosalinda Sprint, emblema della stravaganza e fragilità di una città e dei suo mutanti abitanti. In una scrittura che Natalia Ginzburg ha definito dello stile della “natura dell’acqua, uno stile nuotato che consente di spendersi nei confronti di un personaggio, ora con ironia e ora con pietà, spostandosi a nuoto e leggermente tra l’uno e l’altro”. Tra straniamento ed immedesimazione si disegna la figura di Rosalinda Sprint, ” una figura maldestramente ritagliata nella carta, le forbici si sono mangiate parte del bordo intorno intorno, n’è scappata fuori una silhouette in scala ridotta” come dice l’autore. Una scrittura quella di Patroni Griffi tutta musicale, fisica, continuamente mobile tra la prima e la terza persona. Un flusso di parole che diventano carne, e spesso danza. Un tango disperato, un folleggiare sul baratro, un urlare per non morire. Sorella immaginaria, e precorritrice della Jennifer di Ruccello e di molti personaggi di Moscato, la Sprint attraversa gli umori, i suoni della città di Napoli, qui più che mai diventata luogo metafisico, invenzione di un posto che non c’è.

DAL 26 FEBBARIO ALL' 8 MARZO 2026
LAMPEDUSA BEACH
di Lina Prosa, regia Alessandra Cutolo

Lampedusa Beach scritto nel 2003 è il primo testo della Trilogia del Naufragio di cui fanno parte anche Lampedusa Snow, Lampedusa Way, più due appendici: Ritratto di Naufrago Numero Zero e La rotta del Marabut (dedicato all’infanzia).
La Trilogia in Italia è pubblicata da Editoria&Spettacolo.
Il testo è dedicato ad una attrice “bianca” che sa andare in apnea.
Shauba, migrante africana, annega presso le coste dell’isola di Lampedusa.
È partita alla volta d’Europa sostenuta dal sogno dell’amata zia Mahama che vuole i figli dell’Africa liberi dal ricatto della bontà del capitalismo con cui un giorno si mangia ed un altro no. La carretta del mare perde l’equilibrio quando nello spazio intasato dalla presenza di settecento clandestini, il vecchio e il giovane scafista si contendono il corpo di Shauba causando il naufragio. Il mare è innocente.
Shauba ha con sé un paio di occhiali da sole, unico bagaglio da viaggio, donatole da Mahama, per avvistare più chiaramente la meta durante la traversata. Nella discesa agli abissi gli occhiali diventano l’unico appiglio, un improbabile salvagente, che le concede però un lento tempo di discesa. Il tempo della discesa coincide con il tempo della scrittura. Si compie così un’odissea sott’acqua, fatta di memorie personali, di convivenza con i pesci, esperienze fisiche straordinarie, fino al fondo, spiaggia sottosopra, la “Lampedusa Beach” tanto sognata. Ma l’ultimo minuto di vita di Shauba è rivolto all’Occidente, alla necessità di una rivoluzione che lo porti ad invertire la rotta, a cercare asilo politico in Africa, salvarsi dal crollo dei valori di una società “confinata” che ha rinunciato al mito omerico dell’avventura.

DAL 13 AL 22 MARZO 2026

Changing the Sheets
di Harry Butler, regia di Vincenzo Nemolato

Changing the Sheets è un testo dell’autore irlandese Harry Butler, che ha debuttato con successo al Fringe Festival di Edimburgo nel 2022. Lo spettacolo racconta la storia di due giovani che si incontrano su un’app di incontri e vivono quattro fine settimana di passione e conflitti emotivi.

Attraverso dialoghi serrati e momenti di intimità, la pièce esplora le difficoltà relazionali della generazione contemporanea, condizionata dalla comunicazione digitale e da un bisogno costante di connessione che non trova mai pieno appagamento.

Changing the sheets ci offre la possibilità di riflettere sulla capacità di relazione dell’uomo contemporaneo, su quanto essa sia influenzata dai nuovi sistemi di comunicazione e su quanto la stessa società, che ci vuole iperconnessi e sempre performanti, ci condiziona in maniera negativa nella ricerca di una relazione affettiva stabile. I due protagonisti diventano così specchio di una generazione che fatica a comunicare davvero, intrappolata in una continua oscillazione tra desiderio di intimità e paura del coinvolgimento.

L’adattamento italiano, curato da Francesco Ferrara e diretto da Vincenzo Nemolato, mantiene l’ironia e l’intensità del testo originale, arricchendolo di riferimenti culturali italiani e di una messa in scena che esalta l’umorismo e il ritmo serrato dei dialoghi. La rappresentazione si sviluppa come una giostra emotiva e comica, alternando momenti di intimità e confronto a scene esilaranti, dove la fragilità dei personaggi diventa fonte di ironia e leggerezza. Tra battute taglienti, malintesi comici e slanci romantici, lo spettacolo diverte e coinvolge, senza mai perdere la sua riflessione critica sulle relazioni moderne.

Changing the Sheets è pensato per un pubblico dinamico e moderno, soprattutto per giovani adulti alla ricerca di spettacoli che sfidano le convenzioni e affrontano temi contemporanei. Lo spettacolo offre un’esperienza coinvolgente e divertente, in cui la comicità e la leggerezza dei dialoghi si intrecciano con riflessioni più profonde sulle relazioni e sull’amore. Attraverso battute taglienti e situazioni esilaranti, gli spettatori sono invitati a esplorare le proprie idee sulla relazione e sull’amore in un mondo sempre più liquido e complesso, che è disposto ad accantonare l’altro e i suoi bisogni con la stessa frequenza con la quale si cambiano le lenzuola, per avere qualcosa di fresco, ogni settimana, che inevitabilmente ci stancherà presto.

DAL 9 AL 19 APRILE 2026
IL NUMERO ESATTO
di Fabio Pisano, regia Martina Badiluzzi

I fatti di cronaca che hanno ispirato la scrittura de Il numero esatto sono la questione da cui cominciare. La storia in sé si presta alla più becera moralizzazione, in campo ci sono argomenti spinosi per la nostra opinione pubblica. La gestazione per altri, la maternità surrogata, l’utero in affitto sono modi per parlare della stessa cosa e quando si parla “dei bambini” è facile cadere nella tentazione di avere un’opinione semplicistica. La genitorialità soprattutto quando riguarda una donna è questione pubblica più che privata. Questa drammaturgia riflette, in maniera cruda e delicata insieme, su cosa significhi per una donna essere centro del dibattito pubblico in quanto madre e le conseguenze estreme di questo senso del dovere. Cos’è una madre? Chi è una madre? Perché essere madre mentre il mondo brucia? Mentre il mondo brucia e la solita guerra dei confini umilia le vite delle persone c’è una figlia, la protagonista di questa storia, che con estrema lucidità cerca e poi trova se stessa in tutte le madri che hanno intersecato la sua crescita per diventare adulta. È così liberatorio il personaggio di Alice, è bello immaginare una protagonista che non pretende ma ascolta, che non giudica ma capisce, che evolve naturalmente verso un’analisi limpida del suo mondo, che sceglie l’amore

DAL 30 APRILE AL 10 MAGGIO 2026
LA NOIA
testo e regia Manuel Di Martino

Quando ci sentiamo realmente vivi? È a partire da questa domanda esistenziale che si intrecciano le vite dei quattro protagonisti de La Noia.

Ogni settimana, a mezzanotte, i quattro giovani si incontrano in un appartamento privato, chiamato Il Tempio, dove, tra risate e tempo perso, si raccontano gli attimi di vita rubati e rivissuti nei giorni precedenti. Il gioco è semplice e ha regole ben precise e piuttosto rigide. Ciascuno deve far confessare ad un estraneo quale sia stato l’attimo più significativo della sua esistenza, e riviverlo il più rapidamente possibile. Tutto sembra funzionare, è divertente, ha una qualche sua filosofia. Finché, uno dei partecipanti del gruppo, in cerca di attimi sempre più estremi, supera il limite. Confessa, infatti, di aver dato fuoco all’auto in cui dormiva un senzatetto e di averlo guardato morire.

14/15 MAGGIO 2026
MERCURIO
di e con Luna Cenere e Antonio Raia

Mercurio nasce dall’incontro tra la coreografa e performer Luna Cenere e il compositore, improvvisatore e sassofonista Antonio Raia. Per definizione la caratteristica di questo metallo è di assommare in sé proprietà antitetiche, essendo un elemento pesante ma anche volatile. Una ricerca che prende anche spunto dall’astronomia e che spazia sino alla mitologia: di cui il simbolo alchemico riunisce insieme gli ideogrammi della Luna del Sole e della Terra. Un tema, un simbolo, per racchiudere le riflessioni scaturite dalla condivisione di pratiche, posture e saperi e -al tempo stesso- una metafora contenitrice della dualità del maschile-femminile, di obliquità di senso e trasversalità, senza escludere la dimensione del viaggio e del rischio.

GIOVEDI' 21 MAGGIO 2026
MOZARTEUM DI SALISBURGO

Orchestra del Mozarteum di Salisburgo

Luigi Piovano violoncello e direzione

Nicola Porpora – Aria in do maggiore per violoncello e archi

Franz Joseph Haydn – Concerto in do maggiore per violoncello e orchestra

Wolfgang Amadeus Mozart – Sinfonia in sol minore K. 550

ilbotteghino@fastwebnet.it

0815564684 - 0815568054

dal lunedi' al venerdi' Orari: 10.00 /13.00 - 16.30/19.30