dal lunedi' al venerdi' Orari: 10.00 /13.00 - 16.30/19.30


DAL 4 AL 14 DICEMBRE 2025
L'ANGELO DEL FOCOLARE
testo e regia Emma Dante
Dentro una famiglia, un giorno, l’abituale violenza del marito sulla moglie si trasforma in un femminicidio. L’uomo la uccide spaccandole la testa con un ferro da stiro. La donna giace a terra, morta, ma la sua morte non è sufficiente: nessuno le crede. Così che la donna, come l’angelo del focolare, nella cui grottesca immagine si ritrova incastrata, sarà costretta ad alzarsi e a rientrare nella stessa routine, pulendo la casa, occupandosi del lavoro domestico, preparando da mangiare al figlio e al marito, accudendo l’anziana suocera. Ogni mattina, i familiari la trovano morta e non le credono. Ogni mattina lei si rialza, apre la moka, chiusa troppo stretta, e ricomincia a subire la violenza del marito, la depressione del figlio, l’impotenza della suocera che anziché condannare il figlio brutale e dispotico, lo compatisce. Ogni sera la moglie muore di nuovo, come in un girone dell’inferno in cui la pena non si estingue mai. Nella penombra di una casa addormentata, l’angelo scuote i lembi della vestaglia e prova a volare ma le è concesso soltanto l’intenzione del volo.
DAL 19 DICEMBRE AL 4 GENNAIO 2026
NAPOLI NOBILISSIMA
due atti unici di Raffaele Viviani, regia Geppy Gleijeses
Raffaele Viviani è, insieme a Eduardo De Filippo, il più grande autore teatrale napoletano. Nella sua opera ha indagato, tranne che nell’ultimo periodo della carriera, la strada e i suoi eroi: miserabili, povera gente, rifiuti della società. Così come Eduardo – Maestro di Geppy Gleijeses – seppe penetrare nei gangli più reconditi dell’animo umano, anche Viviani mostrò una straordinaria profondità nella rappresentazione del reale.
Eppure, della sua opera non è stata ancora pienamente riconosciuta la grandezza universale. Vicino a Bertolt Brecht per tematiche e acutezza di analisi umana – sebbene culturalmente molto distante, non avendolo mai conosciuto né preso a riferimento – Viviani dimostra un’affinità sorprendente con quella stessa temperie musicale, pur non sapendo scrivere musica e limitandosi a fischiettarla a un maestro. Ignaro delle sonorità di Kurt Weill o Hanns Eisler, Viviani riesce comunque a sfiorare le stesse corde, come se fosse stato lui a comporre per Brecht, o loro per lui.
Nel 2000, Geppy Gleijeses ha già diretto e interpretato Don Giacinto per il Festival di Benevento, tanto che Franco Quadri scrisse una recensione dal titolo “VIVIANI-GLEIJESES-MIRACOLO”: un’opera agrodolce, la storia di un vecchietto dignitoso e, a suo modo, nobilissimo, bersagliato da un’umanità dolente e variopinta.
La musica dei ciechi è, a suo avviso, insieme a Sik Sik, l’artefice magico, il più bel atto unico mai scritto da autore napoletano. Un testo che può essere paragonato – e addirittura considerato superiore – a I ciechi di Maeterlinck. Racconta la vicenda di un’orchestrina ambulante di ciechi, guidati da un guercio. Il contrabbassista è Ferdinando, sposato con Nannina, che un giorno lo salvò dall’investimento di un tram. Un pietoso ostricaro veglia sul destino dei poveri musicanti… IMMENSO.
Geppy Gleijeses affronta questa nuova, meravigliosa avventura teatrale con al fianco Lorenzo Gleijeses, suo figlio, e Chiara Baffi, una delle attrici più talentuose della sua generazione. Con loro anche Peppe Lanzetta, artista poliedrico e straordinario, protagonista del film Parthenope di Paolo Sorrentino, dove ha recitato anche Lorenzo.
In scena saranno presenti altri undici attori, alcuni freschi diplomati del Teatro Nazionale di Napoli, eccellenza assoluta e virtuosa del teatro italiano, con cui Gleijeses si onora di collaborare. Le scene di Roberto Crea, i costumi di Chiara Donato, le luci di Luigi Ascione – collaboratori abituali – contribuiranno a immergere lo spettatore nel mondo vivianeo. E naturalmente, le musiche di Raffaele Viviani accompagneranno questo viaggio nel mito del grande autore.
DAL 9 ALL 11 GENNAIO 2026
NATALE IN CASA CUPIELLO
di Eduardo De Filippo, regia Lello Serao
Dopo il successo dello scorso anno totna una messinscena non convenzionale che vede un unico attore interagire con sette pupazzi realizzati dallo scenografo Tiziano Fario autore dell’intera scenografia e animati da un gruppo di manovratori costituito ad hoc per il progetto e coordinato da Irene Vecchia attraverso un laboratorio di formazione aperto ai giovani del territorio. Lo spettacolo, fedele al testo di Eduardo, evoca le vicende della famiglia Cupiello, aprendo uno squarcio dentro l’immaginario e la memoria di ogni spettatore. Un sogno che prende vita attraverso il teatro di figura nel quale l’attore Luca Saccoia s’immerge riemergendone come “Tommasino” che, dopo aver detto il fatidico “sì” a suo padre, rivive e fa rivivere quel “Natale” che ci accompagna da 90 anni. Eccolo, allora, farsi interprete a suo modo di una tradizione, testimone di un rito e di una rievocazione di fatti e accadimenti familiari comici e tragici che hanno segnato la sua vita e quella di quanti alla rappresentazione prendono parte.
Per farlo e rendere ripetibile il rito, si serve di pupazzi, di figure che si rianimano dentro i suoi sogni/incubi, che continuano a riaffacciarsi ogni anno come il presepe e i suoi pastori. Si lascia sorprendere ancora una volta dalle storie che questi raccontano, vi prende parte, gli fornisce le battute, riaccarezza il sogno di Luca Cupiello di smussare i conflitti attraverso il rituale del presepe.
“Il presepe – così in una nota del regista – è l’orizzonte in cui si muove tutta l’opera, sia in senso reale che metaforico. È l’elemento necessario a Luca Cupiello per sperare in un’umanità rinnovata e senza conflitti, ma anche la rappresentazione della nascita e della morte. È il tempo del passaggio dal vecchio al nuovo, la miscela tra passato e presente, un’iconografia consolidata e, al tempo stesso, da destrutturare di continuo. Il presepe si rinnova ogni anno, è ciclico come le stagioni, può piacere o non piacere”.
DAL 31 GENNAIO AL 1 FEBBRAIO 2026
QUANDO LA FINIRAI CON PINA BAUSH ?
drammaturgia e regia Giuseppe Sollazzo
Lo spettacolo è la storia di un amore, ma anche la storia di un sogno, un sogno d’amore per una donna mai conosciuta, ma ammirata sempre da lontano, nel silenzio e nel buio. Insieme a migliaia di altri occhi. Questa donna è Pina Bausch. Il colpo di fulmine, scrive Giuseppe Sollazo nelle sue note, scattò a Parigi agli inizi degli anni ottanta. Non ricordo quale fu lo spettacolo rivelatore, se 1980, Arien, o Kontakthof. A distanza di anni, di un sogno non ti restano che immagini sparse. Beatrice Libonati che fa l’Eletta nella Sagra della primavera, un palcoscenico coperto di garofani, la Endicott alle prese con un ippopotamo innamorato, una donna vestita di soli palloncini rossi, un’altra che fa l’amore con un pianoforte. Evidentemente ci sono artisti che rappresentano punti di non ritorno. C’è un prima o un dopo di loro. Arrivano, creano meraviglie, e spezzano convenzioni che sembravano inossidabili, danno vita a nuovi modi di agire la scena. Niente è più come prima. Una di questi è Pina Bausch. I suoi spettacoli sono incomprensibili per chi cerca risposte e non domande, storie e non emozioni; ma ricchi di fascino per quelli capaci di far entrare in corto circuito immagini e pensieri consolidati. La coreografa tedesca racconta lo scarto tra l’immagine che vogliamo offrire di noi e ciò che siamo in realtà.
La drammaturgia del nostro spettacolo attinge a più fonti. Da una parte le suggestioni ispirate all’immaginario di Pina Bausch, dall’altra a frammenti della sua vita: dalla partenza per New York, all’infanzia nel ristorante dei genitori, ai rapporti con i danzatori. Dando ad una voce off il compito di restituire la semplicità e la profondità delle sue parole. In scena agisce un nucleo di attori e danzatori professionisti, ai quali si aggiungono interpreti non professionisti. Ognuno porta in dono allo spettacolo una parte del proprio mondo e della propria fragilità.
La sfida è quella di parlare di ciò che abbiamo dimenticato, delle cicatrici che credevamo cadute nell’oblio, ma che il teatro di Pina Bausch riporta alla luce con un semplice gesto, o con un’immagine. Perchè il teatro della coreografa tedesca non è lo specchio della realtà, ma piuttosto una radiografia feroce, che contiene una cassetta di pronto soccorso per le ustioni di secondo grado. E’ nello stesso tempo la ferita e l’unguento per guarirla.
DAL 4 ALL 8 FEBBRAIO 2026
LA PRINCIPESSA DI LAMPEDUSA
di Ruggero Cappuccio, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco
L’autore con questo spettacolo restituisce il coraggio di una donna carismatica come Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò, e la sua modernità. Madre di Giuseppe Tomasi di Lampedusa – autore de Il Gattopardo – donna risoluta e complessa, Beatrice si staglia fra le macerie di una Palermo ferita dai bombardamenti del maggio ‘43, e trova le parole per raccontare in prima persona le passioni , i fallimenti e le follie che muovono un’intera generazione, mentre il presente si sgretola e la guerra imperversa. È una partitura di sentimenti interpretata da Sonia Bergamasco con la ricchezza espressiva di cui è dotata – un concerto di emozioni in cui esplode il vitalismo di un’anima sublime. Il ritmo intenso e musicale della scrittura di scena di Ruggero Cappuccio invita a una danza sottile: la voce si sdoppia, si moltiplica, intona e scompone la trama di una vita attraverso alcune immagini salienti. E la linea musicale che dialoga con il racconto è una trama essenziale della storia ed è orchestrata con sapienza dal compositore Marco Betta e da Ivo Parlati. L’occasione di orchestrare una partitura per fantasmi attraverso un corpo solo e una sola voce, dichiara Sonia Bergamasco, me la offre Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò: donna forte, indipendente, principessa in una famiglia complessa, ferita e geniale. Beatrice viene chiamata a parlare in prima persona da Ruggero Cappuccio, con cui ho collaborato pochi anni fa per dare corpo ad un’altra figura di donna indimenticabile, la Cassandra del mito. Ruggero Cappuccio – che a Beatrice ha già dedicato il libro La principessa di Lampedusa – mi consegna ora la trama di un sogno, da me.ere in scena come interprete e come regista. Una trama musicale, in cui la voce della protagonista, e le tante voci di chi lei ha amato, detestato, compreso e rifiutato si intrecciano e si inseguono, prendono corpo e spazio. Un teatro delle emozioni e del pensiero. La solitudine essenziale di una donna che, in un presente senza tempo, prende finalmente il suo tempo per raccontarsi e raccontare la storia. Ho immaginato una scena luminosa e vuota, in cui le tracce di una vita, le parole non dette, il desiderio di sentirsi ancora parte, e la certezza di esserne ormai definitiamente fuori, sono al centro del gioco. Un’occasione per me imperdibile di mettere alla prova ancora una volta la forma monologo e per verificare quanto spazio ci sia per dare ospitalità sulla scena a presenze e visioni, forte di una lingua e di una storia che parla al presente.
DAL 10 AL 15 FEBBRAIO 2026
L'AMORE NON LO VEDE NESSUNO
di Giovanni Grasso, regia Piero Maccarinelli
Tratto dall’ultimo romanzo di Giovanni Grasso L’amore non lo vede nessuno è la terza prova teatrale dopo Fuoriusciti e Il Caso Kaufman presentato con successo la scorsa stagione.
E’ un giallo? E cosa può c’entrare Dio con un giallo? Chi sono quelle due donne la sorella e l’amica? Chi è Federica morta in un incidente stradale? Da dove viene l’amore? Si interroga il regista Maccarinelli. Se sapessimo rispondere a questa domanda avremmo svelato il mistero della vita.
Qui in due spazi compresenti, la casa piccolo borghese dI Silvia, sorella della giovane donna morta nell’incidente e un piccolo bar equivoco di periferia si confrontano le vite dei tre personaggi. Ogni martedì pomeriggio in un anonimo bar, Silvia incontra un affascinante sconosciuto che ha visto per la prima volta al funerale di Federica, sono legati da un patto: lui le ha promesso di rivelarle ogni particolare della sua relazione con Federica. Lei in cambio si è impegnata a non fare ricerche per svelare l’identità del suo interlocutore ma fino a che punto siamo disposti a fidarci di uno sconosciuto? Fino a che punto possiamo svelare i nostri più intimi segreti e far conoscere le nostre profonde emozioni?
L’amica Eugenia mette in guardia Silvia, ma Silvia sempre più coinvolta in un crescendo di colpi di scena arriverà ad affrontare un groviglio di segreti e contraddizioni di Federica fra amori assoluti e giochi di potere.
Saranno assolvenze e dissolvenze senza soluzione di continuità accompagnate dalle musiche di Antonio Di Pofi. L’amore non lo vede nessuno è un testo potente, un’indagine spietata sul senso dell’esistenza che ci costringe davanti allo specchio con la parte più oscura di noi e ci interroga sulla necessità di perdonare e perdonarci.
17 FEBBRAIO 2026
STORIA DI UN AMORE
da Lettera a D. di André Gorz - Sellerio Editore Palermo, drammaturgia e regia Giovanni Mazzara
La storia di un amore. Lettera a D. edito da Sellerio di André Gorz è la storia di una vita. André incontra Dorine, giovane attrice inglese nel 1947, lei fa teatro, lui scrive. Vivono insieme 58 anni. La storia di un amore è però anche il ritratto di un’epoca, un luogo della memoria in cui puoi attraversare i vicoli della Parigi dell’ultima metà del secolo scorso vivendone le idee, le battaglie, le sfide sociali incontrando uomini straordinari da Sarte a Marcuse. Il libro è avvolgente e si legge d’un fiato. Non è lo sviluppo della storia che prende, sono le parole di cui è capace un uomo che sa amare a rapire il lettore. Parole che sono esse stesse suono. Così Giovanni Mazzara ha l’intuizione che si possa raccontare in scena un amore e ne scrive la drammaturgia, fa parlare André Gorz e lo fa dialogare con una Dorine che fragile, quasi diafana, si muove sulle punte danzando tra un pianista e un armonicista la cui musica rende intensa la narrazione e assicura un’esperienza immersiva totalizzante accompagnandoci in un viaggio emotivo inaspettato. Si suonano le canzoni della Parigi del dopo guerra da Gilbert Becaud a Jacques Brel, a Michel Legrand. Si improvvisa, si divaga su un tema. Il tema è la vita, le divagazioni tutte le tentazioni, i dubbi, le incertezze, l’incomunicabilità, ma anche la gioia delle piccole cose del quotidiano.
DAL 25 FEBBRAIO AL 1 MARZO 2026
METADIETRO
di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
L’ammutinamento è sempre auspicabile in un organismo sano. Un ammiraglio blu elettrico tenta di portare in salvo la sua nave spalleggiato da una frotta che lo stordisce con ossessioni di mercato: la salvezza di chi ti è vicino non è la via di fuga per chi vive delle proprie idee. In ogni caso nessuno è colpevole, c’è solo un gran divario nello stare al mondo. Tra visioni difformi si consuma l’ennesimo espatrio, che non è la migrazione di un popolo, ma l’allontanamento inesorabile dalla propria volontà.
E vissero tutti relitti e portenti.
Tornare alla dimensione naturale e selvaggia è impossibile. Viviamo una nuova preistoria; la mansione umana è mortificata, confusa e inadeguata. Nello spazio virtuale fatto materia, un ecopentagono provoca il vuoto, personaggi invisibili fiancheggiano l’egocentrico edificio: non sono fantasmi ma sollecitazioni induttive e, nonostante tutto, la realtà non è mai uniforme, scombina sempre i programmi prestabiliti e nutre in modo imprevedibile la funzione della fantasia.
La crudeltà tecnologica permea l’essente vivente.
È la scomparsa dell’eroe.
DAL 12 AL 22 MARZO 2026
USCITA D'EMERGENZA
di Manlio Santanelli, regia Alfio Scuderi
il regista Alfio Scuderi nelle sue note spiega: la scrittura di Manlio Santanelli mi ha subito colpito per il suo stile diretto e poetico al tempo stesso, e per la grande ironia che pervade tutti i suoi testi. Manlio Santanelli è un autore moderno, dinamico, vivace; un autore che, pur attingendo alla grande tradizione teatrale della sua città, guarda alla drammaturgia contemporanea europea.
Uscita di emergenza è una di quelle commedie perfette, nella struttura, nel ritmo, nella comicità, e anche nella sua densità. Penso che valga la pena tornare a metterla in scena oggi come uno di quei classici che è sempre bello ritrovare in un nuovo allestimento, con una nuova lettura e nuovi attori. Vedo nel testo anche una forte attualità, non solo per la cronaca legata a quel terremoto che condiziona, oggi come ieri, i due protagonisti nella loro condizione di instabilità e isolamento, ma anche per quella precarietà che sta alla base della storia: precarietà che oggi avvolge il nostro mondo devastato da guerre e disagi, da squilibri e disumanità, un mondo che si muove tra terremoti di ogni genere. E proprio nel modo in cui quell’incertezza e quella precarietà esistenziale vengono esorcizzate con l’ironia dall’autore sta la natura più profonda, più attuale e interessante del testo. Sono queste le ragioni che mi hanno spinto a proporre e a mettere in scena oggi un testo che Manlio Santanelli ha scritto nel 1978 e che ha visto una prima edizione proprio al San Ferdinando nel 1980. Per questo viaggio nella scrittura di Santanelli ho subito pensato a due complici, due speciali compagni di viaggio, che sono sicuro potranno dare il loro meglio con le parole dell’autore: Nando Paone e Vincenzo Ferrera. Sono due attori che si muovono con grande disinvoltura tra commedia e dramma, tra comicità e poesia, due attori con cui sarà bello ritrovarsi a “giocare”, a scommettere, a esplorare. A partire da questa scelta mi piace che “Pacebbene” possa mantenere la sua forte identità napoletana immaginata nella scrittura dall’autore, mentre “Cirillo” possa ripensarsi siciliano, in quel gemellaggio poetico tra queste due culture così vicine, che tanta passione ha sempre generato.
DAL 16 AL 26 APRILE 2026
LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR
di William Shakespeare; adattamento, musiche e regia Mariano Bauduin
La produzione delle commedie di Shakespeare è caratterizzata da una forte componente popolare: un linguaggio e una forma artistica capaci di rivolgersi a un pubblico ampio, in grado di cogliere sensazioni e significati anche al di là della comprensione intellettuale. Il teatro shakespeariano ha conosciuto fortuna nelle riduzioni oratoriali dell’Ottocento e del Novecento, con traduzioni ispirate al melodramma italiano e allo stile dei libretti verdiani. Lo stesso Giuseppe Verdi si è confrontato con Shakespeare in opere come Macbeth, Otello e Falstaff. In questa messinscena, Mariano Bauduin propone una lettura che fonde elementi della tradizione elisabettiana con quelli del teatro popolare. Lo spazio scenico immaginato richiama un Globe Theatre effimero, sorto in un bosco fantastico, mentre i personaggi – tutti interpretati da uomini – rievocano la farsa carnevalesca e il teatro parodico, in un chiaro richiamo alla comicità grottesca e al varietà. Falstaff è il fulcro della narrazione: figura vitale e ambigua, incarna una saggezza popolare che accompagna il giovane Enrico V nel suo percorso di formazione. Shakespeare, ispirandosi alla figura storica di Oldcastle, ne fa un personaggio simbolico, capace di collegare il re al suo popolo e di rappresentare l’umano nella sua complessità. A questa dimensione si unisce il regno delle fate, simbolo di castità e ordine morale, legato alla propaganda elisabettiana. Le scene fantastiche evocano anche tradizioni popolari italiane, in particolare i riti dei benandanti friulani, mostrando corrispondenze sorprendenti tra culture distanti.
Lo spettacolo si configura come l’ultima notte di Falstaff, un sogno febbrile in cui il personaggio ripercorre la propria vita tra gioia e paura. La sua morte diventa un rito poetico che celebra l’immaginazione e segna la fine dell’innocenza, nel solco di un teatro che esplora con profondità il cuore umano.
9/10 MAGGIO 2026
UN SABATO CON GLI AMICI
dal romanzo di Andrea Camilleri, adattamento e regia Marco Grossi
Un sabato con gli amici è un romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato da Mondadori nel 2009. Appartiene a quel filone di produzione letteraria meno nota dell’autore, perché non legata alle ambientazioni siciliane cui è associata la sua fama e che hanno finito per essere considerate, nell’immaginario collettivo, il luogo narrativo della sua produzione letteraria. La vicenda è ambientata in un quartiere altoborghese di una grande città italiana. Tre coppie di amici si ritrovano a passare una serata insieme, come d’abitudine. L’impianto richiama subito l’immaginario di un interno borghese tipico della commedia classica anglosassone alla Neil Simon e proprio come una commedia d’altri tempi i personaggi si presenteranno a noi. Ma un evento imprevisto finirà per far riemergere antichi e pericolosi fantasmi.
L’occasione è data dalla presenza di un vecchio amico, riaffiorato da un lontano passato per chiedere aiuto e sostegno elettorale, in vista della sua recente candidatura politica. La nuova presenza andrà a rompere gli equilibri faticosamente raggiunti dalle coppie. Ognuno dei protagonisti ha uno scheletro più o meno ingombrante nell’armadio o si trova a fare i conti con un trauma irrisolto: chi conduce una relazione clandestina con un altro all’interno del gruppo, chi ha assistito a omicidi o suicidi, chi è stato violato nell’anima o nel corpo, chi anziché vittima è stato carnefice, ma ha avuto ugualmente una vita segnata.
Sono temi complessi e affatto facili, che Camilleri ha avuto il merito di affrontare con una narrazione d’impatto e un linguaggio schietto, essenziale e realistico. I temi in campo sono di estrema attualità, il lavoro esplora la complessità della psiche umana, attraverso conflitti irrisolti, perversioni e deliri, la cui origine spesso risiede nei ricordi di infanzia, luoghi metafisici in cui la personalità e l’“io” si sono formati.
DAL 25 AL 29 MARZO 2026
AUTORITRATTO
di e con Davide Enia
Davide Enia racconta di non avere alcun ricordo del 23 maggio 1992, giorno della strage di Capaci. Un vuoto che attribuisce a una rimozione emotiva profonda, segno di una nevrosi diffusa in Sicilia nel rapporto con Cosa Nostra. La mafia, prima delle stragi, è stata spesso minimizzata o mitizzata, mai affrontata davvero. Questo ha portato a una sua introiezione inconscia nella vita quotidiana, familiare, nei comportamenti e nel linguaggio, dove l’omertà si radica nella cultura (“‘a megghiu parola è chìdda ca ‘un si dice”).
La mafia diventa uno specchio deformante della società, e comprenderla richiede un processo di autoanalisi: non capire solo “la mafia in sé”, ma “la mafia in me”. Enia racconta di aver vissuto a stretto contatto con le vittime della mafia: Borsellino era suo vicino, Puglisi il suo professore. Ogni palermitano ha pochi gradi di separazione dalla mafia e vive con una costante sensazione di pericolo.
Lo spettacolo affronta poi il caso del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito, torturato e sciolto nell’acido: un evento che rappresenta l’orrore puro e la perdita dell’innocenza. L’opera è una tragedia, un’orazione civile, un atto di autoanalisi e confronto con lo Stato e con Dio. Un autoritratto intimo e collettivo.
dal lunedi' al venerdi' Orari: 10.00 /13.00 - 16.30/19.30